TERTULLIAN, Adversus Marcionem, edited and
translated by ERNEST EVANS
(« Early Christian Texts »), Oxford, 1971, 2 voll., pp. xxiii-658
compl., in 8°.
Continuando l'opera intrapresa più di. venticinque anni fa, di porre a
dispo-
sizione degli studiosi dei commenti scientifici ai trattati di
Tertulliano - un'impresa
quanto mai meritoria - ora l'Evans pubblica una nuova edizione dell'Adversus
Marcionem, con prefazione, note a traduzione. Bisogna confessare,
tuttavia, che il
lettore che si accosta a questa nuova fatica dell'Evans resta in parte
deluso. L'intro-
duzione, dedicata a Marcione a all'opera tertullianea, non può certo
competere
con quella che il critico stesso premise all'Adversus Praxeam, che
fu un
capo
lavoro di acutezza esegetica e arrecò un insostituibile contributo alla
esegesi della
teologia tertullianea. L'introduzione all'Adversus Marcionem è poco più
che
un'esposizione dei dati conservatici dalla tradizione, senza contributi
degni di
nota alla problematica del marcionismo. Il medesimo appunto si può
rivolgere
alle note che accompagnano la traduzione, eccessivamente scarne a
asciutte, e che
non permettono l'approfondimento che sarebbe stato auspicabile ai
numerosi pro-
blemi presentati dal testo tertullianeo. Analogo è il carattere delle
due appendici,
delle quali la prima (« Some Technical Terms ») riprende le
osservazioni che lo
stesso Evans aveva fatto a proposito dell'Adversus Praxeam, la seconda («
Marcion's
Treatment of the New Testament ») è francamente insufficiente. Il
testo dell'opera
è stato costituito prendendo come base quello dell'Oehler. Questa scelta,
che suona
come una condanna di quello del Kroymann, così discutibile per i suoi
arbitri
nell'ambito della critica del testo (esso fu pubblicato nel C.S.E.L. nel
1906, non nel
1942, come è scritto per errore a p. xxi: nel 1942 fu stampato, sempre
ad opera
del Kroymann, il volume LXX del C.S.E.L. contenente altre opere di
Tertulliano,
ma non l'Adversus Marcionem), è conforme a quanto alcuni studiosi hanno
affer-
mato in proposito, ma, tutto sommato, è ingiusta nei confronti del
Kroymann.
È vero, però, che l'Evans ha tenuto conto, dove gli è parso opportuno,
degli
indubbi miglioramenti apportati dal Kroymann; un po' trascurata, invece,
è la
scuola svedese (un esempio: in IV, 33, 3, ove il testo manoscritto è:
« et creator
enim dominus, quia deus, et utique magis dominus quam mammonas, magisque
non observandus qua magis dominus », l'Evans espunge « non » davanti
a « non
observandus », nonostante che il Thörnell, Studia Tertullianea I, p.
68, abbia
convincentemente dimostrato che il creatore non doveva essere venerato
proprio
in proporzione del suo potere, superiore a quello di Mammona, il diavolo);
pari-
menti non godono di adeguata considerazione anche i recenti studi di V.
Bulhart:
ma bisogna pensare che l'Evans non voleva darci un vero a proprio testo
critico.
Pur non potendosi, quindi, considerare la presente come una vera a
propria
edizione critica, l'Evans ha arrecato numerosi suoi contributi, molti
dei quali degni
di nota (molti di essi, però, sono presentati con l'annotazione 'scribendum
cen-
sebam', mentre erano già del Kroymann: come si spiega questo?). Ne
discutiamo
alcuni. In I, 11, 1 l'Evans propone di correggere il testo (« Quale est enim ut
aliquid extraneum deo sit, cui nihil extraneum esset, si quis esset? »)
in: « cui
nihil extraneum esset, si deus esset? » I, 18, 4: « Alioquin, si sic
homo deum com-
mentabitur quomodo Romulus Consum et Tatius Cloacinam ... hoc aliis
licebit? »
L'interrogazione è posta dall'Evans, ed è abbastanza convincente,
poiché in tal
modo Tertulliano pone Marcione sullo stesso piano delle divinità pagane
che
divinizzarono certe persone a ne fecero degli idoli: né più né meno che
un idolo
è il dio di Marcione. Il passo corrotto di I, 25, 3 (« et quid illi -
cioè il dio mar-
cionita - cum Christo, molesto et Iudaeis per doctrinam et sibi per
Iesum? »:
« per sensum » Ursinus) è così corretto: « et sibi per crucem? »:
una correzione
un po' violenta, ma che dà senso. Il passo di II, 22, 1 (« proinde et
similtudinem
vetans fieri omnium quae in caelo et in terra et in aquis, ostendit et
causas, idolo-
latriae scilicet quae substantiam cohibent ») è corretto in modo
analogo a quanto
proponemmo noi alcuni anni fa (cfr. Prolegomena ad una nuova edizione
del
l'Adversus Marcionem di Tertulliano, in « Annali della Scuola Normale
di Pisa »
1967, p. 237), esattamente come in IV, 34, 6: « iam hinc confirmatur ab
illo
Moyses, ex eodem titulo prohibens repudium quo et Christus, < ni >
si inventum
fuerit in muliere negotium impudicum (cfr. Osservazioni sul testo
dell'Adversus
Marcionem di Tertulliano, in « Annali della Scuola Normale di Pisa »
1970,
p. [sic]). Un altro passo tormentato è quello di II, 27, 5: « sed et penes
nos
Christus in persona Christi accipitur, quia et hoc modo noster est »,
che è
dall'Evans corretto in: « deus in persona Christi accipitur », che è
forse l'unica
soluzione di fronte ai cavilli del Braun a del Moingt, i quali vogliono
conservare
il testo intatto e interpretarlo. In III, 4, 1 l'Evans propone di
leggere nel modo
seguente: « competit mihi etiam illud retractare, cur non post
<creatoris>
Christum venerit ». Molto allettante è la proposta di correggere il
testo di III, 20, 2
(« aspice universas nationes de voragíne erroris humani exinde
emergentes ad
deum creatorem, ad deum Christum ») in ad dei Christum: il nesso
deus
Christus
è effettivamente insolito.
In IV, 17, 2 (« et pignus ... reddes beati » : così i mss.)
l'Evans
corregge in:
« et pignus reddes debentis », facendosi forte della lezione dei
Settanta (o)fei/lontoj).
La congettura è un po' lontana paleograficamente, per cui io preferirei
pur sempre
correggere, con l'Oehler « beati » in « dati »; è però una
correzione pregevole.
Simile è il caso di IV, 21, 11: il testo « nec multum ablutus, nec
sale ac melle
medicatus » è corretto in « nec mulso ablutus » etc.: la correzione
ha un suo
senso, ma che un lattante sia « multo ablutus » mi sembra un po'
strano; co-
munque, tale congettura doveva essere giustificata con altre
attestazioni. Il greco
dei Settanta giustifica anche un'altra correzione dell'Evans: in IV, 39,
9 invece di
« in fulgorem fulgur scutum tuum » (Habacuc III, 9 segg.), l'Evans
propone di
correggere in: « in fulgorem fulguris scuti tui » («
ei)j fe/ggoj a)straph~j o(/plwn
sou »). Molto persuasiva è la correzione di IV, 43, 1: « quis enim
haec non credat
in recogitatu mulierum illarum volutata inter dolorem praesentis
destitutionis, qua
percussae sibi videbantur a domino, et spem resurrectionis ipsius, qua
restitui
vitae (invece di « restitui rite » dei mss. e « restitutum iri »
del'Engelbrecht
in base a Osea VI, 1: a)nasthso&meqa kai zhso&meqa) arbitrantur? »
Parimenti quella
di IV, 18, 3: « ... Christus vero et audiens et sciens non corrigebat,
et quidem in
tanto documento mortui resuscitati creatorem adhuc honorantes », invece
di:
« creatorem adhuc orantes »; la correzione è confermata, come osserva
l'Evans
stesso, dalle parole che seguono: « ... quem in suis beneficiis atque
virtutibus
honorari sustinebat ». Ancora, in V, 2, 5 il testo (« nemo enim illos
moverat a
creatore ut viderentur sic ad aliud evangelium transferti quasi dum ad
creatorem
transferuntur », l'Evans propone di leggere « quasi iterum ...
transferuntur »; ma
in tal caso sarebbe stato richiesto un congiuntivo. Migliore la
correzione di V, 6, 8
(« ergo de saecularibus dixit ... de rege Herode, etiam de Pilato, et
quo maior
principatus huius aevi Romana dignitas praesidebat »): « de Pilato in
quo maior
principatus » propone l'Evans; quasi sicura, secondo me, quella di V,
8, 8: nel
corso di un confronto tra i generi dello spirito (I Corinti, XII, 8) e
quelli di cui
parla la profezia di Isaia (XI, 2), Tertulliano avrà certamente detto:
« alii (datur)
sermo scientiae: hic erit spiritus intellegentiae et consilii », come
corregge l'Evans,
invece di: « hic erit sermo intellegentiae et consilii ». Molto
probabile è anche la
congettura di V, 16, 5: « (creator) ... cui et competit zelus ipsos
(invece di « ipse »
dei mss.) errore decipere quos veritate non cepit » . Come si vede,
dunque, nono-
stante che si sia troppo facilmente basata sul testo dell'Oehler,
l'edizione dell'Evans
mostra un notevole sforzo per essere indipendente e per non
accontentarsi di ciò
che si trovava davanti. Lo spazio ci impedisce di discutere più oltre
la scelta delle
varie lezioni adottate dall'editore o le altre congetture da lui
proposte.
Il merito principale, comunque, del lavoro dell'Evans -- e non è
piccolo
merito -- è quello di aver accompagnato il testo con una nuova
traduzione.
L'estensione e la difficoltà dell'opera tertullianea rendono tale
lavoro particolarmente
apprezzabile e ne fanno un punto fermo nell'esegesi dello scrittore di
Cartagine.
La traduzione è assai accurata e precisa, senza cadere nel banale o nel
pedestre;
la aderenza al testo è mantenuta scrupolosamente, sebbene talora,
all'occorrenza,
essa acquisti una maggiore disinvoltura. Molto onestamente l'autore
dichiara,
nella
prefazione, che la sua traduzione si è giovata di quella di P. Holmes,
pubblicata
nel 1868, ed anche noi cogliamo l'occasione per dichiarare ben
volentieri il nostro
debito nei confronti dell'Evans per la nostra traduzione tertullianea.
Segnaliamo,
perciò, all'editore inglese alcuni punti nei quali la nostra
interpretazione diverge
dalla sua, o che forse egli crederà opportuno correggere in un secondo
momento.
Il celebre passo di I, 10, 3 (« l'animae enim a primordio conscientia
dei dos est »)
è reso dall'Evans con: « the knowledge inherent in the soul since the
beginning
is God's endowment » . Io preferirei, tenendo conto anche del fatto che
in quel
punto Tertulliano parla della conoscenza naturale di Dio, rendere in
questo
modo: « la conoscenza di Dio è fin dai primordi la dote dell'anima
». In II, 13, 1
il testo dell'Evans ha: « seposita libertate eius », che è reso con:
« God having
set aside that liberality », cioè secondo il testo di Kroymann, che corregge « liber-
tate » in « liberalitate ». In IV, 5, 2: « Marcionis vero plerisque
nec notum
(scl. « evangelium » ), nullis autem notum ut non eadem damnatum » è
il testo
dell'Oehler, di difficile interpretazione, secondo me (vedi l'apparato
critico del
Kroymann), la cui difficoltà non è eliminata dalla traduzione
dell'Evans: « ... and
by those to whom it is known is also by the same reason condemned ». In
IV, 16, 8
il testo latino: « ... imperatam habes in Deuteronomio formam creatoris
», io penso
che « forma » non sia tanto « example » quanto 'la regola', la
norma'. Poco
più oltre (IV, 16, 11), il testo latino (« quod si secundus gradus
bonitatis est in
extraneos qui in proximo primus est ») mi sembra reso
imperfettamente: non « if
the second degree of kindness, towards strangers, is the same as that
first degree,
towards one's neighbours... », ma semplicemente: « ché se il secondo
grado della
bontà riguarda gli estranei, così come il primo riguardo il prossimo
». In IV, 18, 4
il testo (« ipso iam domino virtutum sermone et spiritu Patris operante
in terris »)
io penso che « sermone et spiritu Patris » sia semplicemente
un'apposizione di
« Domino virtutum », e non debba essere reso con: « when the Lord of
hosts
himself was by the Word and Spirit of the Father working and preaching
upon
earth... ». Poco più oltre (IV, 18, 8), il testo è incerto: l'Evans legge: « ... sed
non ideo subiecto ei qui minor fuerit in regno dei » (scl., il
precursore), a traduce:
« but the reason why is less than the least in the kingdom of God... ». Ma in tal
caso bisognava adottare la correzione « subiectus » del Leopoldus e
del Kroymann.
Un passo corrotto è, secondo me, anche quello di IV, 21, 5 (« si et
quartam - scl.
Basiliarum - resolvas »), che va corretto in: « si et quartam revolvas
» (Ursinus);
certo la traduzione dell'Evans è solamente a senso: « if you also
turn to the
fourth », pur essendo quella richiesta. Inesatta, poi, secondo me, la
traduzione di
IV, 21, 12: « plane pudere te debet quod illum ipse finxisti » («
clearly, of yourself
he should be ashamed, for your having invented him »); così come quella
di
IV, 42, 1, ove il testo: « Pilato quoque interroganti: tu es Christus?,
proinde, Tu
dicis, ne metu potestatis videretur amplius respondisse » va reso in
questo modo:.
« ... perché non sembrasse che dava una risposta più esauriente («
amplius respon-
disse ») per paura dell'autorità » (di Pilato), non: « so that he
might not seem,
through fear of authority, to have refused to answer ». In V, 3, 5 il
testo latino:
« ... ne ... ex censu eorum in nationes praedicandi munus subiret »
(scl. Paolo),
è tradotto così: « before with their agreement he undertook the task
of preaching,
among the gentiles », cioè secondo la correzione del Kroymann, « ex
consensa
eorum » . In V, 7, 6 si legge: « Marcion totum concubitum auferens
fidelibus
(viderint enim catechumeni eius)... », e la traduzíone inglese della
parentesi è:
« I say nothing of his catechumens » , che mi sembra un po' debole. Io
proporrei:
« ci pensino, stiano attenti i suoi catecumeni », che non sia troppo
grave per loro
diventare marcioniti, se debbono osservare una così rigorosa castità
anche dopo
le nozze.
Ma queste, ripetiamo, non vogliono essere delle critiche, bensì
solamente dei
nostri contributi personali all'esegesi dell'Adversus Marcionem, se
l'Evans vorrà
accoglierli. Non resta, quindi, una volta precisato il valore delle
nostre riserve
sulla opportunità di adottare il testo dell'Oehler (una rielaborazione
critica totale
sarebbe stata quanto mai utile) e sulla schematicità della esegesi
storica che con-
gratularci con l'Evans per quest'ultima gigantesca fatica, che si
aggiunge degna-
mente alle sue precedenti, a vantaggio di Tertulliano, o, meglio, di
tutti coloro
che son mossi dall'interesse di trovare famigliarità con il grande
scrittore car-
taginese.
CLAUDIO MORESCHINI
|