Traduzione di Pino BLASONE (2006)
1. Cittadini di Cartagine, da sempre i primi dell'Africa, nobili dall'antichità e felici nel presente, mi compiaccio che non vi manchi il tempo per potervi interessare all'abbigliamento con agio, con gusto, con discernimento. Tra gli effetti della pace e del benessere, simili oziose occupazioni vi sono elargite dal cielo e dal governo. Così sta bene. Tuttavia, il vostro abito è diverso da quello di una volta. Allora, si trattava di tuniche. Ed è vero che esse erano famose per la qualità del tessuto, per lo splendore e per l'accordo delle tinte, per le giuste proporzioni. Infatti, non eccedevano per lunghezza al di sotto dei polpacci, né erano sconvenienti essendo corte al di sopra dei ginocchi. Non erano risicate alle braccia, né strette intorno ai polsi. Senza l'invenzione di una cintura che formasse delle pieghe, esse scendevano con eqilibrio sui corpi degli uomini, squadrate e comode. Sulle spalle si adagiava il mantello del pallio, questo pure quadrato, gettato all'indietro sui due lati e fermato intorno al collo con una spilla.
2. Somigliante ad esso è al giorno d'oggi il pallio dei sacerdoti di Esculapio, un dio divenuto ormai vostro. Nei paraggi, allo stesso modo si vestiva nella consorella [Utica] e altrove in Africa, dove c'era una colonia di Tiro 1. Ma, quando l'urna delle umane sorti mutò inclinazione e Iddio mostrò propensione verso i Romani, per la verità fu la città sorella a cambiarsi senza indugio e spontaneamente d'abito. Con quest'ultimo quella, precocemente convertita agli usi romani, salutò Scipione [Emiliano] ancor prima che egli approdasse. D'altro canto, dopo il beneficio nell'affronto subìto - foste in effetti spogliati di vecchie prerogative, non di una posizione preminente -, dopo gli sciagurati preventivi di [Caio] Gracco e i vituperosi scherni di Lepido, dopo le tre are edificate da Pompeo e i prolungati ritardi di [Giulio] Cesare, quando infine Statilio Tauro elevò le mura e Senzio Saturnino pronunciò solenni voti inaugurali 2: solo allora, con i vantaggi della pacificazione, a voi fu concessa la toga. Pensate un po' quanto le toccò vagabondare: dai Pelasgi ai Lidi 3, dai Lidi ai Romani, prima che essa dalle spalle di questo così sublime popolo giungesse ad abbracciare i Cartaginesi!
3. Da quel momento in poi, vi appendete addosso una tunica più lunga aggiustandola con una cintura, e un pallio fatto ormai tondo e ridondante raccogliete in una serie preordinata di pieghe 4. Per giunta, pure se il vostro rango, la vostra carica o qualche circostanza occasionale vi prescrivono un abito diverso, avete dimenticato che il pallio fu il vostro vestito originario. Al punto, che lo criticate. Né per la verità me ne sorprendo, se io considero questa prova precedente. Intendo, l'ariete (non quello che Laberio 5 definisce "dalle corna ricurve, lanoso e trascinatore dei testicoli", bensì la macchina a forma di trave che serve a far breccia nelle mura). Infatti, anche di tale arma si dice che, da nessuno prima scagliata, sia stata escogitata a Cartagine, "accanita nell'arte della guerra" 6, come un pendolo: in modo da essere manovrata con moto oscillatorio e da poter colpire con impeto. Di ciò sarebbero stati appunto ispiratori gli arieti, quando spingono in avanti il capo con forza e con rabbia. Eppure, mentre i destini della patria stavano per compiersi, l'ariete ormai adottato dai Romani osò scagliarsi contro le mura un tempo sue. Ma ecco i Cartaginesi provare sorpresa a causa di esso: quasi che si trattasse di chissà quale nuovo ed esotico ordigno. "Tale è il mutamento, che può il trascorrere di un lungo tempo!" 7 Così può accadere che, alla fine, anche il pallio venga disconosciuto.
1. Ma si ammetta pure che stiamo parlando di un indumento forestiero, tanto per non far arrossire o dispiacere il cittadino punico fra i romani. Non si può negare che il cambiar d'abito sia una usanza eminente dell'intera natura. Questo stesso mondo che abitiamo compie, a volte, una operazione del genere. Se la sbrighi poi Anassimandro, se ritiene che esistano più mondi. Giudichi lui se qualche altro mondo esista presso i Meropi, cosa che Sileno andava farfugliando alle orecchie di Mida, per la verità conformate per accogliere fandonie anche più grosse 8. Tuttavia, in maniera non dissimile, perfino quel mondo che Platone presuppone e di cui il nostro non sarebbe che l'immagine, sarebbe necessario che fosse soggetto a cambiamenti. Infatti, se di mondo si tratta, esso sarà composto di sostanze e di funzioni differenti, proprio a somiglianza di come è questo mondo. Ché, se così non fosse, non si tratterebbe di mondo. A causa del mutamento, cose diverse convertite in una unità tornano a divergere. Sono le vicende della diversità, che tengono insieme la discordia degli elementi. Dovrà dunque mutare ogni mondo, che sia costituito da diversità e regolato da alterne vicende.
2. Senza dubbio, l'intera dimora umana è sottoposta a trasformazioni. Ciò è palese anche a occhi chiusi: anzi, totalmente ciechi, come quelli di Omero. Giorni e notti si avvicendano alternati. Il sole incorre annualmente nei solstizi; la luna muta le sue fasi nel corso del mese. Il confuso ordine degli astri a volte ne fa tramontare qualcuno, altre volte lo fa sorgere di nuovo. La volta celeste ora risplende serena, ora è offuscata dalle nubi, o cade la pioggia non senza qualche scroscio di grandine. Poi, essa diventa piovigginosa e infine torna il sereno. Né il mare gode di fama affidabile, dal momento che se ne sta buono a ondeggiare tranquillo finché i venti sono moderati, ma presto è sconvolto da immani flutti. Così guarda la terra, come si compiace di vestirsi a secondo delle stagioni. Quasi diresti che non è la stessa: appena ieri la ricordi verdeggiante, già la scorgi biondeggiare, e ancora stai per vederla incanutita. Da una forma all'altra trascorrono pure gli altri ornamenti terrestri. Forse le spalle delle montagne non franano, le vene sorgive non svicolano, i corsi dei fiumi non si interrano?
3. Una volta mutò l'intero globo, sommerso dalle acque in tutta la loro estensione. Ancora oggi conchiglie e buccine marine vanno in giro per i monti, con l'ambizione di dimostrare a Platone che perfino le vette si trovarono in mezzo ai flutti. Tuttavia, tornando a nuoto allo stato di terraferma, di nuovo il mondo si mutò in altro, pur restando se stesso. E anche adesso qua e là esso cambia abito. Ciò accade quando qualche luogo viene sconvolto: quando tra le isole scomparve già Delo o Samo si insabbia (ecco che non mentì la Sibilla); quando nell'Atlantico si cerca una territorio vasto quanto la Libia o l'Asia 9; quando, interrotta un tempo a metà dall'assalto dell'Adriatico e del Tirreno, una parte dell'Italia ha generato con il rimanente la Sicilia; quando, in tutta la zona di quella frattura, il vorticoso congiungersi di avverse acque in uno stretto ha inaugurato un nuovo misfatto del mare: che i relitti dei naufràgi vengono ingurgitati, anziché rigurgitati.
4. Del resto, patisce il continente per gli agenti atmosferici o per cause endogene. Si guardi alla Palestina: là dove il fiume Giordano è arbitro dei confini, null'altro che un'ampia distesa, una regione deserta, campagna sterile. Ciò non toglie che in antico vi fossero città, genti numerose, un terreno rinomato. Dal momento che l'empietà ebbe meritato fiamme e piogge a giudizio di Dio, da allora Sodoma e Gomorra stanno annichilite, tutto è ridotto in cenere e un mare attiguo condivide con il suolo una morta esistenza. Analoga calamità incendiò la Tuscia, proprio dov'era l'antica Volsinia. In proposito, a maggior ragione diffidi dei suoi monti la Campania, dalla quale fu estirpata Pompei. Ma voglia il cielo tener lontano un tale pericolo, e che anche l'Asia sia ormai al sicuro da un suolo vorace. Così per l'Africa, la quale ebbe una volta a temerne e ad espiare, pur essendole sottratti solo degli accampamenti. Ma molte rovine del genere hanno stravolto i luoghi, rivestendo a nuovo il nostro globo.
5. Per giunta, assai hanno potuto contribuire le guerre. Fatto sta che rincresce passare in rivista gli accidenti calamitosi, non meno che le traversìe dei regni. Quante volte essi si sono avvicendati a partire da Nino, prole di Belo! Se pure fu Nino il primo a regnare, come sostengono gli autori profani del passato. In effetti, tra voi 10, non più indietro sono solite risalire le testimonianze scritte: a mala pena, dall'epoca degli Assiri si schiudono i tempi della Storia. Abituati a leggere le sacre scritture, noi però in verità ne siamo consapevoli fin dalla nascita stessa del mondo.
6. Ma è meglio che io passi ad argomenti lieti, giacché anche tali eventi mutano. Se infatti qualcosa è stato disciolto dal mare, incendiato dal cielo, inghiottito dalla terra, reciso dalla spada, in altre occasioni si ha una compensazione e avviene come un risarcimento. In un primo tempo la terra era per la maggior parte deserta e vuota di abitanti: se in qualche sito una gente l'aveva occupata, per sé isolata la teneva. Si tenga quindi presente che la popolazione qua si addensava, altrove era scarsa. Si risolse allora di coltivare, di sarchiare, di dissodare tutto il suolo: in modo che genti da genti e città da città ovunque si propagassero per il globo, come se fossero germogli e ramificazioni. Un eccesso di popolazione diede luogo quasi a sciami trasvolanti. Ed ecco i persiani originati da un esubero di sciti, i fenici traboccanti verso l'Africa, i romani generati dai frigi 11, il seme caldeo trapiantato in Egitto: da esso, quando da lì più tardi si trasferì, è nato il popolo giudeo. Allo stesso modo, la stirpe di Ercole si estende con Temeno fino ad occupare il Peloponneso; gli ioni compagni di Neleo fondano in Asia nuove città; i Corinzi con Archia elevano le mura di Siracusa.
7. Non giova tuttavia indagare ancora l'antichità, quando abbiamo davanti i nostri sentieri da percorrere. Quanto del mondo è stato riformato, nella nostra epoca! Quante città ha creato, accresciuto o restaurato, la triplice virtù dell'Impero vigente! Grazie al favore concesso da Dio a tanti Augusti insieme 12, quanti censimenti sono stati effettuati, quanti popoli sono stati corretti, quanti ordini di cittadini hanno ricevuto lustro, quanti barbari sono stati allontanati! Sradicata ogni erba velenosa dell'ostilità, strappato via ogni cardo o rovo di falsa amicizia, davvero la terra è divenuta il curatissimo giardino di questo Impero, ameno più del frutteto di Alcinoo e del roseto di Mida. Ma a questo punto, se tu elogi le trasformazioni del mondo, perché poi disapprovare quelle dell'uomo? 13
1. Come se si trattasse di un vestito, pure gli animali cambiano forma. Effettivamente, le piume del pavone formano una veste. Anzi, è un abito da cerimonia: più vivace di ogni porpora dove sul collo fiorisce, più dorato di ogni orpello dove sul dorso risplende, più flessuoso di ogni strascico dove si adagia nella coda. Colorato, policromo, cangiante, non è mai uguale ma sempre diverso, pur rimanendo lo stesso anche quando appare differente. Insomma, tante volte esso muterà, quante volte sarà percorso da un movimento.
2. Va menzionato inoltre il serpente, sebbene dopo il pavone. Infatti, esso cambia la pelle e l'età che ha ricevuto in sorte. Non appena avverte la vecchiaia, va a ficcarsi in una stretta buca. A mano a mano che penetra nel cunicolo, sguscia fuori dalla sua pelle, immediatamente raschiata via dalla stessa imboccatura. Ed eccolo che torna a svolgersi rigenerato, avendo abbandonato lì le sue spoglie e essendosi liberato insieme delle squame e degli anni 14. Sempre che la osservi bene, la iena alterna il proprio sesso: una anno maschio, l'anno successivo femmina. Sorvolo qui sul cervo, a sua volta arbitro della propria età: essendosi cibato di un serpente, per effetto del veleno esso cade in un languore, che lo ringiovanisce.
3. C'è poi una creatura "a quattro zampe, di lenta andatura, agreste, umile, aspra". Ritieni che sia la tartaruga di Pacuvio 15? Non è così. Un altro animaletto rientra nella definizione di quel semplice verso. Esso è fra quelli di dimensioni minuscole, nonostante l'ingombro del nome. Si tratta del camaleonte. Se lo udissi menzionare non sapendone assolutamente nulla in precedenza, potresti temere qualcosa di più imponente di un leone. Quando ti accada di rinvenirlo in una vigna, quasi interamente nascosto sotto un pampino, a quel punto l'audacia del nome di origine greca ti farà sorridere. Il suo corpo infatti è privo di quel succo, concesso ad animali anche più piccoli. Il camaleonte vive in una pelle rinsecchita. In assenza di collo, il capo minuscolo sta attaccato senza interruzione al dorso. Esso pertanto è rigido, da non potersi volgere indietro. Ma servono a guardarsi intorno gli occhietti sporgenti e ruotanti, simili a punti luminosi. Dall'aria stordita e affaticata, a stento sollevato dal suolo, la sua camminata è incerta. Nel procedere, accenna i passi più ancora che eseguirli. A quanto pare sempre digiuno eppure non esausto, si sostenta sbadigliando, rumina e si gonfia, si nutre d'aria. Tuttavia, peculiarità del camaleonte è una unica, totale capacità di trasformazione. Sebbene gli competa uno specifico colore, assume quello di qualunque cosa alla quale si accosti. Al solo camaleonte è dato mettere in pratica un popolare modo di dire: "giocare con la propria pelle".
4. Di più cose mi è toccato parlare, allo scopo di introdurre l'argomento uomo in maniera confacente. Qualsiasi origine vogliate a lui attribuire, egli esce dalle mani del suo vasaio certamente spoglio di ogni veste. Soltanto in seguito, quando ancora ciò non era consentito, alla fine si è impadronito della sapienza, avendola trafugata 16. In quel momento stesso, si affretta a proteggere quella parte del recente corpo, che fino ad allora non era stata riservata al pudore, cingendola intanto con foglie di fico. Esiliato dal luogo delle origini poiché aveva peccato, e rivestito di pelli, fu dunque confinato nel mondo così come gli ergastolani in qualche miniera.
5. Ma queste sono questioni da iniziati, che non a tutti è dato sapere. Indulgo ora, dalla parte vostra 17, a quel che narrano gli Egizi e che Alessandro scrisse e sua madre lesse: a quanto accadde al tempo di Osiride, quando presso quest'ultimo Ammone si recò dalla Libia con un ricco gregge di pecore. In breve, stando a ciò che rifacendosi a quelli viene accreditato, Mercurio si compiacque del contatto casuale con la morbidezza di un ariete. Egli prese quindi a palpare il vello di una pecorella. Mentre sperimentava ciò cui induceva la stessa docilità della materia, ne avrebbe tratto un filo che non si
interrompeva a mano a mano che lo tirava. Allora, lo avrebbe tessuto nel modo che aveva usato in passato per intrecciarne una con strisce di tiglio. Più volentieri, voi avete però riferito a Minerva ogni merito per l'invenzione della lavorazione della lana e della tessitura; anche se più industriosa, in proposito, fu l'opera di Aracne 18.
6. Da quel momento in poi fu disponibile la materia prima. Né qui mi soffermo sulle greggi milesie e altinie, o su quelle di Taranto e della Betica, rinomate a causa della naturale tinta della lana. Ma sul fatto che anche le fibre vegetali contribuiscono al vestiario. Le foglie del lino, per effetto di un lavaggio, convertono il loro colore verde in candore. Come se non bastasse quasi piantare e coltivare le tuniche, capita perfino che gli indumenti si possano pescare. Infatti, pure dal mare vengono ricavati fiocchi di lanuggine abbastanza soffice, i quali formano la chioma di certe muscose conchiglie. E nemmeno è un mistero che il baco da seta (si tratta di una specie di piccoli vermi) estroflette e stende per l'aria fili più tenaci di quelli delle ragnatele. Dopo averli poi inghiottiti, presto dal ventre li restituisce. Se avrai quindi ucciso gli animaletti, potrai allora svolgere i loro fili.
7. A un così abbondante allestimento di materiali tenne dietro l'invenzione ingegnosa di indumenti. Si diffusero dunque varie forme di abbigliamento: in primo luogo per coprire, poi per ornare gli uomini; anzi, per uno sfoggio di vanità, dal momento che subentrò l'ambizione. Dei capi di vestiario, una parte ha carattere esclusivamente nazionale: essi non sono adottati presso altri popoli. Alcuni, però, sono comuni a più luoghi, essendo utili a tutti. Fra questi il pallio, benché innanzitutto greco, almeno per il nome è ormai latino. L'uso di tale vestito fece il suo ingresso insieme al nome corrente. E lo stesso che intendeva precludere Roma ai greci, già vecchio avendo appreso il loro alfabeto e la loro lingua, quel Catone che durante la sua magistratura lasciava scoperta una spalla 19, volse così i suoi favori ai Greci non meno che se avesse indossato il pallio.
1. Ora, se la romanità è salvezza universale, perché pendete a oltranza dalla parte dei greci, adottando costumi sconvenienti? Se le cose stanno altrimenti, a quali popoli - in province che conobbero più validi esercizi e che la natura rese meglio idonee al cimento del lavoro dei campi - avete attinto la passione per le palestre? Essa, si sa, fa invecchiare male e sfianca a vuoto. Così pure, da chi avete appreso l'uso di spalmarsi di fango, il rotolarsi nella polvere, e una dieta povera di liquidi 20? Da dove alcuni numidi, peraltro chiomati di code equine, hanno preso l'abitudine di farsi radere fino al cuoio capelluto, lasciando intonso solo il vertice del capo? Da dove provengono, presso uomini villosi e irsuti, la resina per la depilazione delle gambe e la pinza che svelle i peli dal mento? Ed è sorprendente che innovazioni del genere non siano accompagnate dall'adozione del pallio. Ad esso si addice tutta questa roba asiatica. Cosa hai a che vedere, tu Libia o Europa, con tali raffinatezze da atleti, delle quali prima ignoravi la pratica e il costume? Veramente, in effetti, non si vede quale convenienza ci sia nel depilarsi come fanno i greci, piuttosto che nel vestirsi alla greca.
2. Alla fin fine mutare abito sarebbe quasi una colpa, se invece che una consuetudine si pretendesse di cambiare la natura. Ci corre abbastanza tra il rispetto del nostro tempo e la religione dovuta a Dio. La moda sia pure fedele al proprio tempo, la natura a Dio. [Achille], l'eroe di Larissa, agì contro natura travestendosi da ragazza: lui allevato con midollo di fiere (da qui anche l'origine del nome, per il fatto che le sue labbra non avevano conosciuto il gusto delle mammelle 21), lui educato in una scuola rocciosa, presso un maestro montanaro, silvestre e mostruoso. Si sarebbe potuto tollerare ciò a proposito di un ragazzo, e compatire l'apprensione di sua madre. Ma già peloso, certo avendo di nascosto sperimentato la propria virilità con alcuna, sopportò di portare la stola, di acconciarsi i capelli, di truccarsi l'incarnato, di atteggiarsi davanti allo specchio, di ornare il collo, perfino di forarsi femminilmente l'orecchio. Con questo particolare, continua a essere raffigurarto da una statua nei pressi del Sigeo. Senza alcun dubbio, egli fu poi guerriero. Infatti, la necessità gli rese il suo sesso. Aveva squillato il segnale della battaglia. Le armi erano a portata di mano. Si dice che lo stesso ferro attragga il maschio. Del resto, se si fosse ostinato a fare la verginella dopo un simile incitamento, avrebbe potuto pure convolare a nozze. Ecco dunque il mutamento e, in verità, un doppio portento: da uomo a donna e, subito dopo, da femmina a maschio. In realtà, non si sarebbe dovuto prima negare la verità, né successivamente palesare il sotterfugio. Entrambi i modi di cambiare rappresentarono un male. Nel primo caso, contro la natura; nel secondo, a discapito della propria salvezza.
3. Più vergognosa ancora di qualche preoccupazione materna fu la libidine, che stravolse i costumi di un altro eroe. Invece di adorarlo come voi fate, dovreste piuttosto arrossirne. Parlo di quel portatore di clava lanciatore di frecce indossatore di pelli 22, il quale a tanta dovizia di epiteti toccatagli in sorte offrì il riscontro di un travestimento da donna. Un tale risultato riuscì a ottenere la sua clandestina amante lidia: che Ercole si prostituisse in Onfale, e che Onfale si prostituisse in Ercole. Dove erano Diomede e le sue greppie insanguinate? Dove, allora, Busiride e le sue are per i sacrifici? E dove Gerione, dalla triplice testa? Disgustata dalla fragranza degli unguenti, la clava avrebbe magari preferito ancora il fetore delle cervella di coloro. Il sangue ormai incrostato dell'Idra e dei centauri venne asportato dalle saette, tramite la pomice in uso per levigare gli spilloni. Forse perché esse, dopo aver trafitto quei mostri, fossero impiegate per intrecciare serti nel trasporto della lussuria. Né le spalle di una donna sobria né quelle di qualche virago avrebbero in verità tollerato di essere rivestite delle spoglie di una belva così immane 23, se queste non fossero state prima a lungo ammorbidite, svigorite e deodorate: ciò che, io spero, fu eseguito presso Onfale a furia di balsami o di profumi. Neppure credo che la criniera sfuggisse al pettine, in modo che l'irta pelliccia leonina non irritasse la nuca delicata. Fauci imbottite di capelli, zanne celate fra i boccoli: per l'affronto, se solo avesse potuto la gola intera avrebbe ruggito. Se esiste un genio tutelare di quel luogo, certo la patria Nemea si sarebbe lamentata. Infatti, soltanto allora essa si rese conto che il suo leone le era stato strappato. Quale poi sia potuto apparire il celebre Ercole nelle vesti di seta di Onfale, la scena appena descritta - di Onfale nella pelle di leone di lui - ve lo lascia immaginare.
4. Così, pure, accadde a uno che prima era stato quasi emulo del tirinzio [Ercole]: il pugile Cleomaco. Questi in seguito, ad Olimpia, con incredibile metamorfosi abdicò dalla propria mascolinità. Infrollito sotto e sopra la pelle, al punto da poter essere ormai incoronato tra "I lavandai" di Novio, egli meritò di essere ricordato nei "Catanesi" del mimografo Lentulo 24. Sicuramente, così come nascose con bracciali i segni lasciati impressi dai cesti 25, allo stesso modo si disfece del ruvido accappatoio degli atleti per sfoggiare qualche trasparente vestaglia da camera.
5. Di Fiscone e di Sardanapalo, poi, meglio non parlarne. Se non fosse stato per la fama della loro lussuria, nessuno li conoscerebbe in quanto re. Occorre anzi tacerne, che da essi pure non vengano alimentati pettegolezzi sul conto di certi vostri imperatori, altrettanto dissoluti. Non sia mai che così venga consentito alla licenza dei cinici di diffamare un Cesare 26, come più contaminato di Fiscone e più debosciato di Sardanapalo. Per riferirne con esattezza, come un "Sotto-Nerone".
6. Anche quando la virilità resta integra, non per questo la vanità rappresenta una spinta minore, verso il mutamento del vestiario. Calore è ogni passione: dalla quale scintilla tuttavia, se ci si soffia sopra, accade che divampi l'incendio della vanagloria. Eccoti dunque infiammato a causa di tale esca un grande re, inferiore soltanto alla propria gloria. Colui che aveva vinto il popolo della Media fu catturato dalla veste in uso presso i medi. Avendo accantonato l'usbergo da trionfatore, [Alessandro] morì infilato nei calzoni dei suoi prigionieri. Attraverso lo schermo di un sottile velo, lasciò intravedere sul petto le marcate impronte delle squame della corazza, e lo stesso ancora ansante per le imprese marziali. Nel soffice sventolìo di una stoffa di seta: così egli si estinse. Nemmeno il Macedone fu ripieno di forza d'animo a sufficienza, da non doversi compiacere di una veste esageratamente rigonfia 27. Fatto sta che perfino dei filosofi, io ritengo, sono animati da passioncelle del genere.
7. Infatti, mi risuona che si sia filosofato anche in una veste di porpora. Se un filosofo può essere vestito di porpora, perché allora non calzato di sandali di lusso? Per chi si attenga all'eleganza greca, alla stoffa oriunda di Tiro nessuna calzatura va accostata, che non sia dorata. Ciononostante, ce ne fu un altro che preferì incedere con veste di seta e con calzari di bronzo 28. Degnamente davvero egli camminò con quei cembali, sì da far tintinnare qualcosa sotto la sua tenuta da baccante. E Diogene, se già a quei tempi avesse abbaiato dalla propria botte, si sarebbe astenuto dal fare le sue irruzioni con piedi fangosi: ciò che ben sanno i tappeti di Platone. Senza dubbio, avrebbe invece trascinato Empedocle tutto intero nei [fognari] recessi delle dee Cloacine 29. In tal modo, colui che delirando si era proclamato divino avrebbe potuto prima rivolgere il saluto alle sorelle sue; subito dopo, agli esseri umani.
8. Sia dunque considerato un merito il tenere a bada, il segnare a dito, il denunciare con cenni, un modo di vestire che sia tale da prevaricare la natura e la modestia. Così, se qualcuno strascichi per terra una veste delicata con una mollezza da commediante di Menandro, ascolti come riferita a se stesso la battuta pronunciata pure dall'autore comico: "Quale mantello sta mai rovinando, questo pazzo?" 30. Figuriamoci oggi, quando la solerzia e la severità dei censori sono messe fuori causa ormai da tempo, quanto ci sarebbe da criticare. La confusione ci mostra i liberti tra i cavalieri, i servi da bastonare e i sudditi tra i liberi cittadini, i contadini tra la gente di città, i perditempo in mezzo agli uomini di legge, i civili mescolati con i soldati. Ed ecco allora come il becchino, il lenone, l'allenatore di gladiatori, non vestano diversamente da te 31.
9. Volgi ora l'attenzione alle donne. E assisti allo spettacolo di signore che se ne stanno in pubblico sguarnite di stola. E' ciò che Cecina Severo denunziò con gravità davanti al senato. Addirittua, a seguito delle delibere dell'augure Lentulo 32, a quella che così fosse venuta meno alla propria dignità veniva applicata la pena prevista per l'adulterio. In effetti, il motivo era che certe fra loro avevano smesso quelle vesti, che la dignità denotano e preservano, non per altro se non perché ostacoli all'adescamento 33. Pur di fare le ruffiane di se stesse e di agevolare gli approcci, adesso invece hanno ripudiato stola e sottoveste, e ogni velo o copricapo. Ormai, sono pure abolite lettighe e portantine, dalle quali veniva in pubblico riprodotta la riservatezza delle mura domestiche. Tuttavia, se uno spegne i propri lumi, un altro accende gli altrui 34. Da' pure una occhiata alle meretrici, ridotte a merci per le brame del volgo, o anche alle massaggiatrici. Se però preferisci distrarre da te la vista di tali svergognate, che hanno assassinato pubblicamente il pudore, sbircia allora di sbieco. Ed ecco che scorgerai delle matrone.
10. E che dire della tenutaria di un bordello, quando agitando la veste di seta orna con collane il collo più lercio di quello stesso luogo, e infila le mani pratiche di ogni indecenza in certi bracciali, che le medesime matrone non indugerebbero ad accettare tra i doni di robusti amatori? O quando ella introduce il piede osceno in qualche scarpa immacolata o scarlatta, perché non consideri allora quelle stesse fogge di vestiario? D'altronde, non diversamente si riguardino quelle altre, le quali con abito eccentrico falsificano la religione. Per sfoggiare una toletta interamente bianca, per distinguersi con una sacra fascia, per esibire il privilegio di un casco, alcune infatti si iniziano al culto di Cerere. Al contrario, per lo sfizio di una veste tenebrosa indosso e di un vello scuro sulla testa, si rifugiano sulle alture della dea Bellona. Altro incentivo può essere l'ostentazione di una tunica dal largo orlo di porpora e di un rosso mantello di Galazia da sovrapporvi, emblemi questi della devozione a Saturno. Ma quest'ultimo pallio, indossato con il più scrupoloso ordine, e sandali alla greca rendono onore pure al dio Esculapio. A maggior ragione dovresti dunque riprovare ciò e fissarne con sguardo di rimprovero il colpevole: per quanto semplice e non affettata, si tratta pur sempre di una superstizione. Tuttavia, dal momento che per la prima volta esso veste questa sapienza che si oppone a superstizioni tanto vuote, senza alcun dubbio è il pallio la veste santa, superiore a ogni indumento o abbigliamento. E' il sacerdotale decoro, superiore a ogni cuffia o cappuccio da sacerdote. Ti invito a chinare gli sguardi e a riverire l'abito, che ti accusa intanto del tuo specifico errore 35.
1. "Eppure," tu dirai, "passeremo così, dalla toga al pallio?". Che cosa accadrebbe allora, se fosse dalla corona e dallo scettro? Benché in altro modo, non cambiò Anacarsi, quando rinunciò al regno della Scizia per dedicarsi alla filosofia 36? Ammettiamo comunque che ciò non stia a simboleggiare un mutamento verso il meglio. Quest'abito è proprio quel che fa al caso nostro. Per prima cosa, già il semplice indossarlo non è motivo di alcuna noia. Non occorre apposta un attendente, il quale il giorno avanti formi le pieghe dall'inizio della pezza, che da lì le faccia cadere per il lungo e che fissi con mollette il complesso artificio plissettato. Quindi, agli albori del nuovo giorno, quello stesso prima aggiusterà con una cintura la tunica, che sarebbe meglio averla fatta più contenuta in precedenza. Controllerà nuovamente il fascio delle pieghe e gli toccherà ricostituirlo, se si sarà in qualche misura disfatto. Una parte ne faccia poi scendere dalla spalla sinistra. Il lembo da cui si origina il grembo tiri giù dalle spalle, mentre già le piegature vengono meno. Lasciato libero il braccio destro, convogli sulla spalla sinistra una pari massa di pieghe, gettandola dietro le spalle. Così avrà vestito un uomo: con una soma di stoffa.
2. Ti chiederò alla fine di dirmi in coscienza che sensazione provi in una toga: di essere vestito, o sovraccarico? Di avere indosso una veste, o di sfacchinare? Se negherai ogni fastidio, ti seguirò fino a casa. Starò a spiare che cosa ti affretti a fare, appena oltrepassi la soglia. Una cosa è sicura: di nessun indumento ci si spoglia così volentieri, come della toga. E non vogliamo dilungarci sulle scarpe, tortura associata alla toga, protezione delle estremità nient'affatto igienica, per la verità neanche efficace. A chi infatti non gioverebbe ispessire la nuda pelle del piede con il freddo e con il caldo, piuttosto che imprigionarlo in una scarpa? Né costituiscono questa gran tutela nel camminare certi stivaletti effeminati, a noi provvisti dai calzaturifici del Veneto!
3. In pratica, niente esiste maggiormente comodo del pallio, anche se doppio come usava Cratete 37. Da nessuna parte deve essere adattato per vestire, dal momento che tutta la sua funzione sta nel coprire lasciando libertà di movimento. Ciò è consentito da un avvolgimento unico e dappertutto veramente a misura della persona, in modo da fasciarne ogni lato nello stesso tempo. La spalla viene lasciata scoperta o meno a volontà. Per il resto, esso aderisce con sufficiente ampiezza. Nulla lo sorregge o lo stringe intorno. Nessuno sforzo, per mantenere fedelmente le pieghe. Si accudisce e si accomoda agevolmente. Anche quando viene riposto, non c'è bisogno di affidarlo a una stampella per l'indomani. In presenza di qualche sottana, non richiede la seccatura di una fascia. Se viene adottata una calzatura, si tratta di una faccenda estremamente pulita. Altrimenti, si va per lo più a piedi scalzi: certo, più virilmente che non con le scarpe.
4. Per quanto tu mi hai tenuto compagnia, per via del nome, intanto ho potuto esporre argomenti a favore del pallio. Ma ora è esso a proclamare i fatti suoi. "Io - dice - non devo niente al foro, niente alla piazza del mercato, niente ai tribunali. Non ho affari mattutini, non vado per tempo a occupare il posto sulle tribune, non mi faccio scrupolo di controllare gli editti pretori, non vado in giro ad annusare i canali, né riverisco i cancelli [dei potenti]. Non consumo i seggi, non stravolgo il diritto, non mi metto ad abbaiare cause. Né giudice, né militare, né sovrano, io mi sono ritirato da questa società. Il solo mio impegno è con me stesso. Unica preoccupazione, il non avere preoccupazioni. Si può godere una vita migliore standosense per proprio conto, anziché mettendosi in mostra. Ma la accuserai di ignavia: ovviamente, bisogna vivere per la patria, per l'Impero, per lo Stato. C'era una volta un'altra massima: nessuno nasce per gli altri, dal momento che deve morire per sé. Certo si è che, quando poi il discorso scivola sugli Epicuri e sui Zenoni 38, tu definisci saggi tutti quei maestri del quieto vivere: non altro essi hanno esaltato, sotto il nome di sommo e unico piacere.
5. Tuttavia, anche per me ci saranno modi, in cui sia consentito contribuire all'utile pubblico. Da qualsiasi tribuna o altare, non tralascio di prescrivere per i costumi dei farmaci, che apportino buona salute agli Stati, alle città e agli Imperi: più di quanto non facciano le tue opere. Eccoti, infatti, una stoccata pungente: maggiori colpi hanno inferto allo Stato le toghe, che non le corazze 39. Sicuramente non indulgo ad alcun vizio per adulazione, non ho riguardo per nessuna inerzia o scabbia. Sono caustico verso tale vanità, per cui Marco Tullio [Cicerone] comprò un tavolo di cedro per cinquecentomila sesterzi, a causa della quale Asinio Gallo sborsò una somma doppia per una mensa della stessa Mauritania - quanto valore, ahimè, attribuito alle venature del legno! -, per la quale Silla pure si fece fabbricare vassoi pesanti cento libbre. E temo proprio che questo peso sia esiguo, quando dal canto suo Drusillano, servo dell'[imperatore] Claudio, si fece fare una antipastiera di cinquecento libbre. Chissà, questa era anche necessaria per le mense di cui sopra. E se poi per essa si costruì un'officina, nondimeno si dovette edificare una sala da pranzo.
6. Allo stesso modo, io immergo il bisturi in una tale crudeltà, per cui Vedio Pollione gettava i servi in balìa delle murene. Così - orrore! - lo divertì una efferatezza davvero inedita, da parte di quella bestia abitatrice degli anfratti, senza denti, senza unghie, senza corna. Di pesci si compiacque di fare delle belve, certo perché subito dopo fossero cotte, e per gustare egli stesso nelle loro viscere i resti dei corpi dei suoi servi. Inciderò [con il mio strumento] una tale golosità, che per la prima volta fece uccidere all'oratore Ortensio un pavone allo scopo di cibarsene, e per la quale Aufidio Lurcone fu il primo a far ingrassare animali in modo innaturale e ad alterare il sapore delle loro carni alimentandoli forzosamente. Ancora a causa di essa, Asinio Celere acquistò la pietanza di una sola triglia per seimila sesterzi; l'attore Esopo ne investì centomila in una pentolata di uccelli, ciascuno dello stesso prezzo di quella triglia, in quanto canoro e imitatore della nostra voce. Ma al figlio di quello, dopo una tale portata, riuscì di aver appetito di qualcosa di più pregiato. Infatti, egli bevve delle perle: preziose, si sa, per antonomasia. Io credo che lo abbia fatto, per non pranzare in maniera più misera del padre.
7. Taccio dei Neroni, degli Apici, dei Rufi. Alla lussuria di Scauro, al vizio di Curio del gioco d'azzardo, alla passione di [Marco] Antonio 40 per il vino, darò il rimedio di un purgante. E rammenta che questi non sono che pochi, fra i tanti in toga: quali ti sarebbe difficile trovare con indosso il pallio. Chi altri libererà la città da tutto questo marcio, facendolo schizzare via e svaporare, se non quelli che vestono il pallio, con i loro discorsi?
1. Con questa allocuzione - si può replicare - mi hai persuaso: si tratta di una cura assai avveduta. Tuttavia, se mai la parlantina dovesse esaurirsi, ridotta al silenzio o tenuta a freno dalla timidezza (in fin dei conti, la vita si accontenta pure di una filosofia muta), l'abito risuona di per sé. Insomma, è così: non appena si scorge un filosofo, è come se lo si ascoltasse parlare. Il mio stesso sopraggiungere diffonde il rossorre tra i vizi. Chi non si sente in imbarazzo, nel veder comparire il suo antagonista? Chi può reggere di riguardare colui, al quale non soffre di rivolgere i propri pensieri? Gran beneficio è il pallio, se stimola una riflessione che induca addirittura a vergognarsi dei cattivi costumi.
2. Se la veda ora la filosofia, di quale giovamento essa possa essere. Infatti, non quella sola è dalla mia parte, ma anche altre discipline di pubblica utilità. Di me si vestono il maestro elementare di scrittura e quello che inizia alla buona pronuncia, e l'altro che insegna i rudimenti del far di conto. Me indossa il grammatico, il retore, il sofista, il medico, il poeta, colui che batte il tempo musicale, chi scruta il corso degli astri e quell'altro che osserva il volo degli uccelli. Coloro che si applicano alle arti liberali, tutti si coprono con i miei quattro lembi. Va da sé che essi vengono dopo i cavalieri romani 41. Però, è altrettanto vero che a precedere in toga è pure l'ignominia dell'aguzzino e di ogni risma di gladiatori. Sul serio, allora, è una indegnità che si esclami: "Come: dalla toga al pallio!". Questo è quanto il pallio medesimo va proferendo. Ma ormai io lo associo a una scelta di vita e a una dottrina divine. Rallegrati ed esulta, o pallio! Dal momento stesso che hai cominciato a vestire i cristiani, una filosofia più elevata ti ha reso infine degno di sé.
[1] Importante città della Fenicia, oggi Libano. Di qui, notoriamente, erano originari i punici cartaginesi.
[2] Personaggi e tappe, variamente connessi con il lungo e travagliato processo di ricostruzione di Cartagine: dopo la vittoria, la conquista e la distruzione da parte dei romani, nella terza guerra punica.
[3] Attendibilmente, T. per Lidi qui intende gli Etruschi, in quanto ritenuti originari della Lidia.
[4] La toga, abito romano per eccellenza.
[5] Popolare autore latino di testi per mimi - sorta di farse o di spettacoli di varietà dell'epoca -, contemporaneo di Giulio Cesare. Non ultimo paradosso di T., lui che fu avverso agli spettacoli si rivela nei suoi testi buon intenditore di teatro.
[6] Citazione dall'Eneide di Virgilio, I, 14.
[7] Altra citazione da Virgilio, Eneide, III, 415.
[8] Allusioni alla teoria dell'esistenza di più mondi, del filosofo greco Anassimandro, e a una leggenda pure greca che vede protagonisti il satiro Sileno e il famoso re Mida: quello, appunto, dalle orecchie d'asino. Le battute servono a introdurre una critica alla visione del mondo del platonismo: secondo la quale, la nostra realtà sarebbe una proiezione ingannevole e precaria del mondo - immutabile e veritiero - delle idee.
[9] Dopo aver alluso al diluvio universale, qui si accenna al mito di Atlantide, riferito da Platone nel Crizia e nel Timeo. Più avanti, si ha una volenterosa spiegazione geologica sull'origine dello stretto di Messina e del connesso mito omerico sul mostro di Cariddi. Tutti questi cataclismi sono evocati anche nell'Apologetico, cap. XL; tra le fonti probabili utilizzate da T., la Storia naturale di Plinio il Vecchio e le Storie di Tacito.
[10] Evidentemente, ci si rivolge a lettori pagani, o anche a cristiani poco istruiti sui testi vetero-testamentari, contrapponendo alle umane lacune della storia profana la completezza di quella sacra, dalla quale si sono già dedotti nel discorso vari esempi.
[11] Cenno alla leggendaria origine troiana dei romani, accreditata nell'Eneide di Virgilio. Segue, fra gli altri, un riferimento al biblico esodo degli ebrei dall'Egitto.
[12] Attendibile riferimento a una ripartizione del potere imperiale. Per il senso generale del discorso, non era tuttavia necessario riferirsi a una in particolare delle terne di "Augusti", succedutesi nel periodo compreso fra Settimio Severo e Alessandro Severo, sulle cui monete si legge effettivamente della "triplice virtù" sopra evocata.
[13] La conclusione insinuante e retorica corona un crescendo di iperboli palesemente maliziose, denotanti tutt'altro che entusiasmo da parte di T. per l'assetto politico e per la gestione amministrativa della dominazione romana.
[14] E' la prima di una serie di "perle" pescate nel repertorio naturalistico dell'epoca, allo scopo apparente di meravigliare e suggestionare il lettore sprovveduto, più ancora che di convincerlo della perenne metamorfosi del creato.
[15] Tragediografo latino, nato nel 220 a. C., nipote del poeta Ennio; da una sua opera perduta, la citazione sopra riportata da T.
[16] Allusione vaga al mito di Prometeo, per i pagani, e poi più esplicitamente all'episodio della cacciata dall'Eden, per i cristiani; va da sé che qui "il vasaio" è allegoria creatrice, divina o demiurgica che sia.
[17] S'intende dalla parte dei pagani, ai quali i cristiani ritenevano che non fosse lecito approfondire la conoscenza della Bibbia. Segue riferimento al contenuto di una presunta lettera di Alessandro Magno dall'Egitto alla madre Olimpiade; cfr. S. Agostino, La città di Dio, VIII, 27.
[18] Si allude alla leggenda della gara di tessitura con Aracne e, implicitamente, alla gelosia di Minerva verso la tessitrice mortale, tramutata dalla dea in ragno.
[19] Modo caratteristico di portare la toga, sta qui a ribadire il proverbiale tradizionalismo di Catone il Censore. Tuttavia, più sopra si rimarca come "pallium" fosse in effetti voce latina, non greca.
[20] Operazioni allora connesse con la pratica e con l'allenamento atletici, di derivazione ellenica e ritenute per lo più salutari: qui sono presentate con ironia, alla maniera dei filosofi cinici. Anche la rasatura e la depilazione, evocate in seguito, erano considerate mode greche o di importazione asiatica.
[21] Etimologìa fantasiosa del nome greco "Achillèus"; qui si allude in generale al mito del suo nascondersi travestito da ancella presso la corte del re Licomede a Sciro: tentativo della madre Teti di sottrarlo alla guerra di Troia, in cui l'eroe perirà. Per inciso, si accenna alla rude educazione di Achille da parte del centauro Chirone.
[22] L'autore seguita a ridicolizzare miti pagani. E' la volta di Ercole, introdotto con attributi e movenze farseschi. Questi, rifugiatosi alla corte della regina di Lidia Ònfale e da lei sedotto, aveva atteso a lavori femminili vestito da donna. T. aggiunge il particolare piccante di un reciproco travestimento dei due amanti. Per contrasto, si richiamano gesta cruente dell'eroe, popolari ai tempi dello scrittore. Nell'Apologetico, egli accenna alle beffe ad Ercole di Diogene il cinico, protagonista del XV Dialogo di Luciano.
[23] La pelle del leone nemeo, ucciso da Ercole, era la veste con cui egli stesso veniva abitualmente effigiato.
[24] Titoli di rappresentazioni del teatro comico romano allora ben note: una "atellana" di Novio (inizi del I secolo a. C.) e un mimo di Lentulo (fine del II secolo d. C.), quest'ultimo citato da T. anche nell'Apologetico (XV, 1).
[25] Sorta di guantoni da pugilato dell'epoca, intrecciati con strette strisce di cuoio.
[26] Fra gli imperatori romani, incerta l'identificazione di questo generico "Cesare", per dissolutezza di costumi accostato ai due semileggendari re dell'Egitto e dell'Assiria. Sono stati proposti Domiziano, Caracalla, Eliogabalo: i paragoni addotti sembrerebbero suggerire piuttosto l'ultimo.
[27] Pantaloni rigonfi facevano parte, appunto, del costume nazionale di medi e persiani.
[28] Si tratta, nell'ordine, di Aristippo e di Empedocle: ne riferiscono T. stesso nell'Apologetico (XLVI, 16) e Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi. Da Laerzio e da T. è narrato pure l'aneddoto successivo: una curiosa provocazione del filosofo cinico Diogene - quello di cui si tramanda che vivesse in una botte -, "che con piedi infangati calpesta i superbi tappeti di Platone" (Apologeticum, XLVI, 12).
[29] Singolari deità minori dei romani: una sorta di ninfe o naiadi preposte nientemeno che alla rete fognaria. Di norma, si ha comunque notizia di non più di una Cloacina, in origine dea della purificazione.
[30] Si è tradotto come se si tratti del grande commediografo greco del IV secolo a. C.: identificando, quindi, il Menandro che prima viene citato con l'autore comico di cui si riporta subito dopo una battuta. In assenza di un riscontro diretto con una commedia o con qualche frammento di Menandro pervenutoci, la cosa non è però sicura.
[31] Oltre che il moralista, qui T. gioca abilmente a fare il conservatore: cosa che in parte del resto fu, almeno per estrazione e educazione personale. Scopo implicito, presentare ai benpensanti i cristiani quali restauratori dell'ordine tradizionale. Così facendo, egli fornisce un vivace spaccato della società dell'epoca. In essa l'editto di Caracalla sull'estensione della cittadinanza doveva aver effettivamente introdotto o riconosciuto un elemento di democrazia e di promiscuità, anche nelle province dell'Impero. Tutto ciò offre il destro all'autore per criticare nei paragrafi successivi, dopo i costumi corrotti o effeminati, la pretesa licenza instauratasi nei comportamenti femminili.
[32] Per Cecina Severo e per questo Lentulo, cfr. Tacito, Annali, II, 33 e III, 50. Quanto alla stola, era la sopravveste tradizionale delle matrone romane.
[33] Più che da "uomo di legge" o di religione, qui appresso e altrove T. si comporta da retore incallito e di pochi scrupoli, in un crescendo di triviali uscite e insinuazioni pur di solleticare e sedurre la giurìa dei lettori. L'accostamento scolastico con le Catilinarie è di prammatica, sebbene alquanto riduttivo nei confronti di Cicerone.
[34] Espressione dal suono proverbiale e dal significato vagamente allusivo a ciò che segue. In base all'intero contesto, si può anche azzardare una interpretazione più generale: nel senso di un invito alla conversione al cristianesimo, fondamentalisticamente intesa come ritorno a una genuina morigeratezza dei costumi.
[35] Ovviamente, si tratta innanzitutto del politeismo ovvero del paganesimo, così come la "sapienza" di cui sopra è il cristianesimo. I copricapi pure citati erano in uso presso certi sacerdoti pagani, quando officiavano; a capo coperto, pregavano anche quelli ebraici.
[36] Più che filosofia, sarebbe indicato dire sapienza, dato che Anacarsi era per i greci uno dei primi semileggendari sette savi. Ma qui il tono dell'intero discorso è caricaturale. In effetti, con la sua minuziosa descrizione la scena seguente della vestizione rasenta i vertici di una autentica comicità.
[37] Difficile da individuare fra: Cratete di Mallo, grammatico e ambasciatore ellenico a Roma nel I secolo a. C.; Cratete di Atene, commediografo del II secolo a. C.; Cratete di Tebe, filosofo cinico del IV secolo a. C., discepolo del Diogene già citato da T. Nella tradizione della cultura romana, il primo era il più famoso.
[38] Celebri filosofi greci, capiscuola rispettivamente dell'epicureismo e dello stoicismo. Più ancora che dei cristiani, tanto meno degli epicurei o degli stoici, questo è il passo dell'intero discorso maggiormente vicino alla filosofia di vita dei cinici. Ma, si badi bene: qui è il pallio, non l'apologista, a parlare in prima persona!
[39] Evidente parafrasi e parodia di un noto detto ciceroniano.
[40] L'imperatore Nerone, M. Gavio Apicio, C. Sempronio Rufo, Mamerco Emilio Scauro, Q. Curio, M. Antonio; condite di aneddoti più o meno attendibili, le accuse rivolte a personaggi storici romani più o meno illustri preludono a una conclusione decisamente e fieramente nazionalistica.
[41] Classe sociale, con cui qui si adombra la dominazione romana nel suo complesso. Una volta di più e prima ancora di convertire, emerge la volontà di far confluire intorno ai cristiani perseguitati una composita corrente di simpatie e di opinioni, in particolare fra i ceti medi del luogo e dell'epoca. Non pochi argomenti impiegati da T. appaiono strumentali. Ma i mezzi indicati - la convinzione e l'esempio - restano coerentemente pacifici. Ciò non sfuggirà a un Voltaire: con una pertinente citazione dall'Apologetico il filosofo francese inizia il XV capitolo del suo Trattato sulla tolleranza, intitolato "Testimonianze contro l'intolleranza".
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